Roma, 12 ago. (Adnkronos Salute) - "Quasi due anni dopo l’inizio dell’attuale epidemia di influenza aviaria H5N1 negli Stati Uniti stiamo ancora navigando alla cieca". Così un editoriale del ’New York Times’ boccia la gestione statunitense dell’influenza aviaria. L’autore, David Wallace-Wells, ricostruisce: "Le indicazioni che l’H5N1 potesse essere trasmesso dai volatili ai mammiferi si videro per la prima volta nell’estate del 2022 quando l’H5N1 colpì uccidendole centinaia di foche nel New England e nel Quebec. Si proseguì poi in autunno con una epidemia in un allevamento di visoni in Spagna. Da decenni gli epidemiologi mettono in guardia sui rischi di una pandemia di influenza aviaria e così ogni nuovo sviluppo sembrava una storia già familiare, quasi troppo perfettamente tracciata per allarmare". Ecco però che l’H5N1 fa ancora un passo verso l’uomo, con l’epidemia negli allevamenti bovini iniziata a marzo di quest’anno. E ad aprile l’identificazione del primo caso umano negli Usa, correlato alle mucche da latte. "Da allora - rimarca l’editoriale - non esiste ancora un piano serio per monitorare adeguatamente la diffusione dell’H5N1".
A livello globale - secondo il portale Mongobay, che si occupa di conservazione ambientale - l’H5N1 ha infettato più di 500 specie di uccelli e mammiferi, si legge nell’articolo. "Negli Stati Uniti, l’influenza aviaria è stata identificata in più di 100 milioni di polli in 48 stati e in 178 mandrie di bovini sparse in più di una dozzina di Stati, ciascun caso può rappresentare un nuovo cluster che diffonde il virus in una comunità diversa - prosegue l’editoriale - Ma ci sono ritardi nella comunicazione dei contagi e i funzionari non sembrano nemmeno condividere tutte le informazioni in loro possesso. La maggior parte delle aziende lattiero-casearie americane non effettua regolarmente i test per l’H5N1, in parte perché la decisione di farli è stata lasciata a loro, e di fatto si sono rifiutati di collaborare con le autorità per analizzare al meglio quanto profondamente il virus si è infiltrato nelle mandrie. C’è quasi uno stigma per queste aziende nell’ammettere di avere capi contagiati. La maggior parte delle aziende agricole non fornisce nemmeno le mascherine N95, gli occhiali o i grembiuli per proteggere chi lavora a contatto col bestiame".
David Wallace-Wells cita nel suo pezzo alcuni esperti che sono intervenuti sui rischi di una epidemia ben più allargata. "A giugno, un’intervista a Robert Redfield, ex direttore dei Cdc, Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, fece eco: ’Non è questione di se accadrà, ma più una questione di quando avremo una pandemia di influenza aviaria. A luglio, Jennifer Nuzzo, direttrice del Pandemic Center della Brown University School of Public Health, ha evidenziato che il ritmo costante di nuovi casi ’ci avverte che questo virus non scomparirà’. Tulio de Oliveira, uno scienziato che studia la sorveglianza globale delle malattie infettive, si è meravigliato che lo sforzo americano per monitorare la diffusione della malattia fosse ’assolutamente amatoriale’ e l’apparente indifferenza del paese ’incredibile’".
"In questa ’bolla’ di ignoranza, c’è un lato positivo e incoraggiante: i casi umani di H5N1 che sono stati identificati suggeriscono che, nella sua forma attuale, l’influenza aviaria non sembra essere così virulenta come si è a lungo temuto o si è ritenuto", precisa l’editoriale.
"Uno studio su scala molto ridotta pubblicato la scorsa settimana ha rilevato anticorpi in due dei 14 lavoratori agricoli che non erano stati precedentemente testati per il virus, suggerendo un tasso di infezione ’invisibile’ fino al 15%. Ma non è chiaro - osserva David Wallace-Wells - quale quadro nazionale potrebbe essere estrapolato da uno studio così piccolo, soprattutto considerando l’immunità crociata potenzialmente confondente derivante dall’esposizione ad altri tipi di influenza. E un altro studio recente non ha trovato anticorpi di questo tipo nei lavoratori agricoli. Complessivamente negli Stati Uniti sono già stati abbattuti più di 100 milioni di uccelli, ma la vera portata dell’epidemia – sia negli animali che negli esseri umani – rimane un’esasperante questione di speculazione".
"Sembra che abbiamo dimenticato non solo la sofferenza del Covid-19 ma anche l’esplosione iniziale di solidarietà, anche se imperfetta, che la pandemia ha prodotto. Per fortuna, l’influenza aviaria non ce la fa pagare, per ora", conclude.